Tubercolosi e merendine: i legami che non ti aspetti

15 Settembre 2014
Tubercolosi e merendine: i legami che non ti aspetti

Negli ulltimi mesi si è spesso parlato di Tubercolosi e delle sue implicazioni politiche e sociali.

Si tratta di una malattia che coinvolge tutto l’organismo, con prevalente impegno a livello polmonare.

Nel secolo scorso rappresentava la malattia “spauracchio” dei popoli. Esprimeva il senso della povertà e del disagio ed era una forma che spesso si sviluppava in ambienti in cui la qualità della vita era scarsa o dove la dissoluzione un po’ bohemienne del tempo caratterizzava uno stile di vita problematico.

Allora, in assenza di terapie antibiotiche disponibili, l’unica terapia possibile, ancora oggi validissima, era il trasferimento in località salubri, quasi sempre in montagna, dove attività fisica e alimentazione sana ripristinavano le difese immunitarie e consentivano di superare l’infezione e guarire in qualche mese.

Come per Ebola, le condizioni di vita, lo stile di vita e le disponibilità alimentari sono gli elementi critici per difendersi o per guarire. Nell’immaginario collettivo lo scrittore bohemienne della Parigi dei primi del ‘900 si ammalava perché sofferto nell’anima, patito e magro, dedito alla vita notturna e privo di risorse igieniche minime (dal riscaldamento all’acqua corrente). 

Si tratta di un’immagine che viene spesso utilizzata negli stereotipi letterari e che ricalca il vero.

A questa immagine però si deve oggi affiancare quella molto più problematica e destabilizzante delle persone ben pasciute, talora addirittura grasse, che devono al diabete, all’obesità e alla loro iperglicemia il fatto di ammalarsi. 

La prestigiosa rivista Lancet ha dedicato una serie di approfondimenti della sezione “Diabete ed Endocrinologia” alla relazione tra TBC e diabete, pubblicando un articolo molto dettagliato e un breve video (in inglese) che suggeriamo di vedere a tutti i nostri lettori (The Lancet Diabetes & Endocrinology, Volume 2, Issue 9, Page 677, September 2014).

Parliamo di una malattia (la TBC) che, nonostante il trattamento antitubercolare attualmente esistente, conta nel mondo 8,6 milioni di casi nuovi ogni anno e 1,3 milioni di decessi annuali dovuti alla sua evoluzione.

In sintesi, ci dice il filmato di Lancet, chi soffre di diabete ha un rischio di ammalarsi di tubercolosi tre volte maggiore di quello di una persona normale. Ha un rischio 4 volte maggiore di avere una ricaduta della stessa tubercolosi e un rischio doppio di non superare il trattamento farmacologico della malattia.

A livello mondiale si sta cercando di ridurre, entro il 2035, il numero globale di malati di tubercolosi almeno al 40% degli attuali.

I centri di epidemiologia ritengono che la presenza del diabete impedirà di raggiungere questo risultato mantenendolo più elevato dell’8-10%. Dobbiamo infatti ricordare che almeno il 15% dei casi di tubercolosi sono attribuibili al diabete e alla inefficienza del sistema immunitario che determina.

Nelle regioni del mondo a basso e medio reddito si ha un’alta prevalenza di diabete (in crescita) e una elevata presenza di tubercolosi per cui la loro interazione può diventare devastante. Non è però un problema solo delle regioni povere del mondo.

Il rapporto tra alimentazione squilibrata e tubercolosi coinvolge anche le nazioni ad alto reddito. Non si tratta, come per Ebola, di stimolare un livello nutrizionale che raggiunga i minimi di sostenibilità, ma di controllare invece lo sviluppo di una patologia “da progresso”, come il diabete, che ha visto crescere i suoi numeri in modo imponente negli ultimi 40 anni.

Un cambio di alimentazione come quello che ha coinvolto la popolazione Cinese nell’ultimo mezzo secolo, li ha portati ad avere più di metà della popolazione prediabetica e in procinto, a breve, di diventare francamente diabetica.

Anche in Italia l’incidenza del diabete, nel secolo scorso, era nettamente inferiore a quella attuale. La crescita dei casi dipende da una totale alterazione degli stili di vita e dalla utilizzazione di cibi densi di energia che vengono utilizzati in modo distorto, accompagnati da una netta riduzione dell’attività fisica quotidiana. 

Il rischio vero, oggi, è che la comparsa di nuovi casi di tubercolosi sia legata non alla mancanza di condizioni minimali di sopravvivenza, ma alla ripetuta utilizzazione di cibi che stimolano iperglicemia, obesità e diabete.

Snack, merendine, succhi di frutta dolcificati, dolcificazione inutile, calorie vuote dovute all’assenza di cereali integrali, sono tutti stimoli diabetogeni che possono portare, come abbiamo spesso documentato, ad una situazione di incremento della glicemia e a un aumento dell’obesità.

Non servono quindi solo frutta e verdura (e minerali e vitamine) per integrare le difese organiche, ma una modalità di alimentazione che controlli l’epidemia di diabete, passata oggi da un un problema di controllo individuale ad una dimensione profondamente sociale.

Le continue richieste che arrivano al nostro centro, di persone che vogliono cambiare stile di vita per controllare il diabete e per ridurre il sovrappeso, ci confermano che l’educazione alimentare sia davvero scarsa e che attraverso percorsi semplici ma efficaci, e non per forza punitivi, si possa davvero riconquistare la consapevolezza del proprio benessere.

Il modo in cui viene facilitata una alimentazione a basso costo sicuramente diabetogena (cereali raffinati, dolci e zucchero che costano meno di una bottiglia di acqua) deve essere rivisto e rivalutato. Il modo in cui la pubblicità continua a spingere per l’utilizzazione di cibi dolci, raffinati in un modo poco congruo con i bisogni della salute, merita una riflessione che va al di là del singolo bisogno individuale e si espande in un contesto sociale.

Quando si capirà che per la TBC il vero problema non è andare in autobus dove si possono incontrare soggetti malati, ma sgranocchiare prevalentemente dolci e cibi raffinati, verrà fatto un salto qualitativo in direzione della tolleranza verso gli uomini e del rispetto verso se stessi.