Intolleranze alimentari: il nervo scoperto della medicina accademica

28 Febbraio 2013
Intolleranze alimentari: il nervo scoperto della medicina accademica

L’articolo che segue è stato scritto nell’anno 2003 quando si parlava ancora di “intolleranze alimentari”.

Oggi, nel 2013, l’evoluzione scientifica ci ha fatto comprendere l’esistenza dell’infiammazione da cibo e la identificazione del BAFF come citochina infiammatoria correlata alla risposta individuale agli alimenti ci ha spiegato quasi tutti gli effetti della reazione immunologica dovuta al cibo.

Anche l’analisi delle IgG, grazie agli importanti lavori di Finkelman del 2007 e del 2009, ha potuto modificarsi nell’ottica di una interpretazione evoluzionistica del contatto con il cibo.

L’infiammazione da cibo è l’espressione dei segnali di adattamento dell’organismo alla diversità antigenica degli alimenti indispensabili all’esistenza.

Oggi quindi (2013), sappiamo come e perché esista una reattività al cibo. Inoltre grazie a nuove strade di valutazione del profilo alimentare individuale e alla possibilità di misurare il livello di citochine infiammatorie come BAFF e PAF (e altre seguiranno), si è aperta una via scientifica e precisa per affrontare senza discussioni il rapporto tra alimentazione e malattia.

Il percorso verso questa conoscenza è stato sempre costellato da ricerche e conquiste scientifiche che già portavano elementi di certezza documentale all’interno del dibattito.

Eppure, a distanza di 10 anni è ancora chiaro che nel mondo scientifico non c’era allora e non c’è oggi peggior sordo di chi non voglia sentire… Basta leggere l’articolo qui di seguito, che ripetiamo è del 2003, e i suoi link. Allora si parlava di intolleranze alimentari, mentre oggi si parla di infiammazione da cibo per spiegare i fenomeni descritti, ma superato il blocco della terminologia, la sostanza vera è che da sempre esiste un rapporto tra cibo e sintomi che ha delle serie basi scientifiche, troppo spesso rifiutate in modo del tutto acritico.

Articolo del 2003 (con parziali aggiornamenti del 2007 e del 2010)

Ormai siamo abituati a sentirci dire di tutto, quindi l’articolo di Margherita De Bac comparso a pagina 23 del Corriere della Sera del 2 novembre scorso, non ci ha certo colto di sorpresa. Il fatto che a titoli cubitali si dica che “I test per le intolleranze alimentari sono una truffa” non fa che riportare il pensiero, espresso pubblicamente, di una forte rappresentanza dei medici specialisti ambulatoriali su una loro rivista di categoria.

Non entreremo quindi in polemica, perché innanzitutto riconosciamo a chiunque il libero diritto di espressione, e poi perché è ovvio che i colleghi che esprimono questo tipo di pensiero non hanno avuto il tempo di aggiornarsi su alcune evoluzioni scientifiche, alcune molto recenti (e li scusiamo parzialmente), e altre un po’ meno, che dovrebbero invece fare parte da tempo del loro bagaglio di conoscenze.

Vogliamo capire quindi dove è la vera truffa?

Quando un cittadino arriva da un medico e spiega che mangiando certi alimenti ha la sensazione che compaiano dei sintomi particolari, come dolori alle articolazioni, dolori di stomaco, reflusso, colite, tosse, asma, allergie cutanee, nella maggior parte dei casi si sente dire che è impossibile.

Il cittadino spera che, come insegnato da Ippocrate, il medico sia in grado di capire e approfondire questo aspetto (“Il cibo sia la tua medicina…”), ma si scontra contro frasi tipo “la tosse è la tosse, cosa c’entra col cibo?” e riceve l’indicazione a indagini spesso inconclusive, e prescrizioni di farmaci.

Segnaliamo ai colleghi che non hanno avuto il tempo di aggiornarsi su questi specifici temi, informando insieme anche i nostri lettori, che negli ultimi due anni molti articoli scientifici importanti, pubblicati su riviste internazionali non di parte, hanno evidenziato ad esempio la relazione tra:

Il medico che non conosce questa realtà è sicuramente impreparato a rispondere ai bisogni del cittadino che gli si rivolge.

Nella migliore delle ipotesi invece, il medico, informato di questi dati appena segnalati, richiede al paziente di effettuare dei test di ricerca delle allergie alimentari, dimenticandosi che negli ultimi 4 anni, la conoscenza scientifica sui fenomeni di allergia agli alimenti e sulle cause delle allergie stesse ha avuto una evoluzione enorme, e che ad oggi le allergie alimentari sono divise in allergie immediate (legate alle Immunoglobuline E) e allergie alimentari ritardate (dovute a una reazione cellulare, favorita da altri tipi di anticorpi).

Una ricerca di sole allergie immediate porta di solito a risposte del tutto prive di significato pratico.

Ai lettori ricordiamo che ricerche scientifiche solide e inattaccabili hanno evidenziato, negli ultimissimi anni che:

  • Siamo tutti allergici e intolleranti a tutto e solo un controllo attivo del Sistema Immunitario può portare alla guarigione. Questa è la motivazione per cui quasi ogni persona si sente dire che ha una intolleranza o una allergia: la ha davvero fin da che è nato, e ha solo perso il controllo della sua regolazione.
  • Molte allergie e le intolleranze alimentari sono oggi legate a fenomeni ritardati, modulati da reazioni cellulari e non da soli anticorpi, come si è creduto per decenni
  • Sono stati identificate recentemente, nelle ultime settimane, delle vie alternative alla allergia classica, che determinano gli stessi fenomeni ma che non saranno mai evidenziabili con i test classici. Le diagnosi effettuate fino ad oggi sono a dir poco incomplete.
  • Esistono test non convenzionali, che basano la loro ricerca su criteri scientifici, con tanto di pubblicazioni effettuate in ambito internazionale, studiati per eliminare soggettività e fluttuazioni dei risultati. Il test DRIA ad esempio ha volutamente computerizzato e standardizzato le modalità di attuazione per evitare alcuni aspetti soggettivi e incerti delle tecniche chinesiologiche; Recaller utilizza una valutazione delle Immunoglobuline G (IgG) di cui è scientificamente documentata la validità e l’efficacia e per eliminare gli errori spesso dovuti alla interpretazione del test sulla base di singole risposte immunologiche, analizza il profilo del paziente attraverso l’algoritmo dei Grandi Gruppi Alimentari. Nonostante questo entrambi si definiscono test non convenzionali, vengono interpretati sempre nel contesto della storia clinica, e richiedono un preciso consenso informato per la loro attuazione.

I pazienti, nel momento in cui un test di allergia per le sole IgE è negativo, si sentono frustrati e incompresi; hanno ragione nel sentire gli effetti del cibo nelle loro patologie, ma nessuno (quasi) li aiuta ad uscirne, e quando ne escono (come i tanti casi di patologie infiammatorie aiutate dalla corretta interpretazione di un RecallerProgram) e provano a riportare ai propri medici i risultati delle loro modifiche alimentari, ricevono scherno, incredulità e derisione.

Che queste realtà cliniche sfuggano alla collega giornalista De Bac non ci preoccupa troppo (da anni comunque condividiamo con lei la riprovazione della effettuazione di test “per posta” o la gestione attraverso test privi di qualsiasi anche parziale supporto scientifico), ma ci sorprende invece che alcuni illustri colleghi medici, come il presidente della associazione italiana contro l’obesità non sia a conoscenza dei dati recenti che legano infiammazione allergica e ingrassamento, sostenendo che i cittadini “abbocchino” come pesci a fantasiose teorie.

Vale la pena ricordare che l’evoluzione scientifica non le definisce più fantasiose teorie. E che qualche cittadino tacciato di “stupidità” potrebbe anche risentirsi.

E allora dove è la vera truffa?

In questo momento esiste un vasto gruppo di pazienti che sta chiedendo aiuto, persone che stanno percependo la pesante interferenza del cibo nella loro salute, e un notevole numero di conoscenze scientifiche recenti che potrebbero spiegare questa relazione.

Il medico di oggi, quasi sempre  abituato a gestire solo il farmaco, senza usare il buon senso del cambio dei comportamenti alimentari, continuerà a non aiutare la comprensione delle vere cause di molti disturbi, permettendo il consumo inutile di risorse economiche e farmaceutiche, negando di fatto ai cittadini bisognosi una strada di possibile diverso approccio ai loro problemi e rinnegando uno dei punti del giurramento professionale che richiama alla alleanza terapeutica con il paziente, fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione.

Noi continuiamo a credere nella possibilità di affiancare innovazione e medicina, confortati da dati scientifici che certo non mancano, come abbiamo dettagliato nell’articolo.

Ci piace di più fare i medici utilizzando strumenti sicuramente perfettibili, e certamente in evoluzione come i test non convenzionali, piuttosto che restare arroccati su una torre d’avorio a giudicare le persone e a negare le relazioni di causa ed effetto tra cibo e malattia che la gente, forse aiutata dallo stesso Ippocrate (Il cibo sia la tua medicina…), sta sempre di più sentendo nella propria quotidianità.

I medici ripetono il giuramento di Ippocrate all’inizio della loro carriera, ma molti evidentemente, si dimenticano presto dei suoi insegnamenti.