Intolleranze alimentari e test non convenzionali

18 Settembre 2013
Intolleranze alimentari e test non convenzionali

Il termine di intolleranza alimentare è ormai in disuso. Anche se viene abbastanza ben compreso dalla gente, non corrisponde a quadri clinici definiti.

Nel mondo scientifico, sia in Europa che negli USA, parlare di intolleranze alimentari suona infatti “antiscientifico” e riporta alla mente tutto quel mondo di indeterminazione e talvolta di ciarlataneria che si è visto in atto negli ultimi anni. 

Oggi si parla di infiammazione da cibo e di citochine infiammatorie (in particolare BAFF e PAF, ma molte altre citochine sono allo studio) attivate dalla reazione di ipersensibilità agli alimenti. Una reazione infiammatoria quindi, che coinvolge il sistema immunitario e che provoca una serie di effetti a catena di notevole importanza su tutto l’organismo.

L’infiammazione da cibo è una condizione che ha rivoluzionato i vecchi modi di interpretare molti disturbi e patologie non chiare che potrebbero essere sostenute da un’ipersensibilità ad alimenti. Il BAFF e il PAF possono essere degli indici precisi di questo livello di infiammazione complessiva dell’organismo e RecallerProgram sarà a breve in grado di analizzare anche il valore di infiammazione individuale, correlandolo con una possibile causa alimentare dovuta alla carenza di tolleranza immunologica.

A titolo di puro riferimento storico vogliamo ricordare i vari test non convenzionali, tutti, chi più chi meno, ormai superati, che in questi ultimi decenni sono stati utilizzati e proposti nei diversi ambiti clinici.

È giusto precisare che “non convenzionale” non equivale sempre a dire “non scientifico”: tra questi test infatti il test di Kondo e il test DRIA hanno potuto produrre un buon numero di lavori scientifici a sostegno, anche se questo non ne ha comunque consentito la piena accettazione all’interno della comunità medico/scientifica.

  • Test DRIA: evidenzia la reattività agli alimenti attraverso un riflesso muscolare documentato, che viene valutato attraverso una lettura computerizzata, nel tentativo di superare i limiti di soggettività della metodica. Per la sua importanza nell’avere consentito, unico tra i test non convenzionali, la comprensione dei meccanismi di recupero della tolleranza immunologica, merita una trattazione a parte.
  • Test muscolare kinesiologico: viene effettuato facendo tenere in mano alla persona da testare il cibo sospettato, oppure facendoglielo “pensare”, poi testando manualmente l’eventuale caduta di forza muscolare.
  • Test citotossico: si effettua prelevando il sangue del paziente e mettendolo a confronto con una serie di sostanze alimentari; un osservatore, al microscopio, stabilisce il livello di rigonfiamento dei granulociti (un tipo di globuli bianchi) e di altre cellule del sangue, e sancisce quattro livelli di “allergia”. La soggettività nella lettura ne ha fatto decadere qualsiasi utilità clinica.
  • ALCAT test: come il citotossico si effettua con un prelievo sanguigno; rappresenta una evoluzione del cytotest perché impiega solo globuli bianchi anziché sangue intero e li confronta con antigeni alimentari. Di fatto la sua efficacia è stata quella di “superare” il cytotest dal punto di vista metodologico, restando però fermo nella ricerca del “cibo cattivo” e perdendo quindi nel corso degli anni molta della sua validità pratica.
  • Test elettrodiagnostici (Vegatest, SARM test, elettroagopuntura secondo Voll, Mora test, Terapia Bikom e altri): si tratta di test tecnicamente molto simili anche se “filosoficamente” molto diversi, nei quali un apparecchio elettrodiagnostico (in pratica un misuratore di impedenza) misura sui punti di agopuntura del corpo umano le variazioni di potenziale elettrico del punto stesso; il circuito elettrico contiene una fialetta che contiene a sua volta una soluzione liquida del cibo o del farmaco da testare, e le variazioni elettriche del circuito dovrebbero indicare la presenza o meno di una allergia o di una intolleranza. Talvolta l’utilizzazione di queste tecniche sfiora il ridicolo nella comunicazione pubblica dei risultati e giustamente trasmissioni come “Le Iene” o “Striscia la notizia” hanno avuto facile gioco nel ridicolizzare la diagnosi di “intolleranza alimentare” fatta con questi strumenti. 
  • Altri test, meno comuni, ma che vale la pena di citare sono: SAFT (Skin Application Food Test); Test di proliferazione linfocitaria periferica (Kondo); Test del digiuno e del sovraccarico; Test di provocazione intradermica o sublinguale; Test di Coca; Riflesso del polso di Nogier; Indicazioni dall’esame del capello (utilissimo per dosare i metalli tossici, ma molto “creativo” nella individuazione di immaginarie reattività alimentari); Chinesiologia applicata.

Ci preme precisare che, indipendentemente dal test utilizzato, gli obiettivi di una terapia dietetica corretta sono (e dovrebbero comunque essere):

  • favorire il recupero della tolleranza nei confronti dei cibi non tollerati;
  • evitare pericolose diete di eliminazione, utili solo in caso di allergia classica, quella cioè mediata da IgE ad alto titolo;
  • consentire il rispetto della socialità e del piacere legati all’alimentazione mediante l’attuazione di una dieta di rotazione che preveda alcune giornate di alimentazione libera.

Per una nota operativa sull’uso integrato dei diversi test diagnostici, clicca qui.