Zuccheri semplici, invisibili, nascosti: dove si trovano e come ridurne gli effetti?

11 Marzo 2021
Zuccheri semplici, invisibili, nascosti: dove si trovano e come ridurne gli effetti?

Nel centro SMA di Milano in cui lavoro mi trovo spesso a parlare con i miei pazienti di zuccheri e, nella maggior parte dei casi, la quantità assunta durante la giornata non è del tutto compresa o consapevole.

Per “zuccheri” si intende una tipologia di carboidrati a rapido assorbimento, detti anche “semplici”. Gli alimenti che associamo maggiormente a questa classe di nutrienti, oltre allo zucchero da tavola, sono i dolci, le torte, i gelati, le bevande gassate, gli snack e le merendine, i biscotti, i cioccolatini… 

Esiste però anche una serie di alimenti che raramente sono percepiti come zuccherini, se non a livello gustativo. In questa categoria rientrano gli zuccheri “nascosti”, ovvero quelli che non associamo immediatamente all’assunzione di zucchero (cereali da prima colazione, miele, bevande vegetali, ketchup, yogurt…), nonostante il loro effetto metabolico sia sovrapponibile a quello di una cola o di una caramella.

Questo fenomeno è legato a 2 aspetti.

In primo luogo può esserci una difficoltà oggettiva nel leggere le etichette e riconoscere i diversi ingredienti, spesso “camuffati” con diciture poco chiare. Esistono nomi diversi dello “zucchero” anche se di fatto la sostanza non cambia, come ad esempio sciroppo di glucosio/fruttosio (HFCS, High-Fructose Corn Syrup), melassa, malto d’orzo, sciroppo di mais, lattosio… Esistono anche alimenti che possono apparire o venire percepiti come “più sani”, grazie all’accurata scelta dei termini con cui lo zucchero è inserito in etichetta: miele, zucchero grezzo, zucchero di canna, zucchero della frutta, fruttosio…

Ci sono inoltre alimenti che di fatto sono dolci, ma che recano in etichetta claim nutrizionali accattivanti (e spesso fuorvianti) come ad esempio “a ridotto contenuto in zuccheri”, “ con il 40% di zuccheri in meno”, “tanto gusto, poche calorie”, “light”.  

La domanda che bisognerebbe porsi è come fa un alimento con la metà dello zucchero a essere dolce come la sua controparte zuccherata? Magia? No, dolcificanti. Esiste una classe di nutrienti, detta polioli (fate caso in etichetta a tutte le parole che terminano con il suffisso -olo: xilitolo, sorbitolo, mannitolo, eritritolo, maltitolo…) definita come “carboidrati con un ridotto apporto calorico ma con un potere dolcificante equiparabile o superiore allo zucchero comune”.

Il punto fondamentale, purtroppo ancora poco chiaro ai più, è che i polioli, nonostante non abbiano un effetto immediato sull’aumento degli zuccheri nel sangue (glicemia), agiscono comunque in maniera indiretta sulla insulino-resistenza, fenomeno per il quale l’organismo riuscirà sempre meno a gestire i carboidrati. L’effetto più comune nel breve periodo può essere l’incremento di grasso, cui si vanno ad associare, se non si interviene con un deciso cambio di abitudini alimentari e stile di vita, a seri dismetabolismi e patologie, tra cui il diabete. 

Il meccanismo controverso è legato all’aumento di Metigliossale (MGO) in seguito all’assunzione di tali sostanze (alcol compreso), una molecola fortemente pro-ossidante associata alla resistenza insulinica, come lo zucchero bianco in eccesso aggiunto nel caffè.

Un terzo aspetto da esplorare è legato al mondo della frutta che, nonostante sia un alimento benefico e ricco in vitamine e sali minerali, se assunta in modo individualmente eccessivo può avere lo stesso effetto di un alimento zuccherino “classico”. Il fruttosio, zucchero naturalmente presente nella frutta, viene assorbito tramite una via metabolica differente rispetto al glucosio: non incide in modo significativo su glicemia e emoglobina glicata, ma agisce sull’incremento di Metigliossale. E l’effetto è amplificato nel caso dei centrifugati o dei succhi, in cui si perde la preziosa componente fibrosa, che rallenta la velocità di assorbimento dello zucchero: un centrifugato con 2-3 frutti piccoli (ad esempio 2 mandarini e 1 melina) contiene l’equivalente di ben 7 cucchiaini di zucchero!

Se dovessimo quindi basarci solo su parametri come glicemia e emoglobina glicata, avremmo una visione incompleta del quadro metabolico legato agli zuccheri in quanto, nonostante siano assolutamente necessari per un corretto inquadramento clinico, non sono sufficienti a captare appieno i “danni da zucchero”, motivo per cui, al fine di intercettarli precocemente, è fondamentale basarsi su nuovi marcatori messi a disposizione dalla scienza tra cui proprio MGO e Albumina Glicata (AG) che captano i “picchi” zuccherini che passerebbero inosservati agli occhi dei marcatori “classici”.

Per finire, esistono alimenti che non assoceremmo immediatamente alla categoria “zucchero o affini”, come ad esempio il ketchup (sì, contiene zucchero), la frutta disidratata, le marmellate 100% frutta (il succo di uva è zucchero!), le salse, i cereali per la prima colazione, lo yogurt alla frutta o bianchi dolci (in media 15 g di zuccheri per vasetto, ovvero l’equivalente di 3 cucchiaini), le bevande vegetali (pensate che un “latte” di riso senza zuccheri aggiunti contiene l’equivalente di 3 cucchiaini di zucchero per tazza), gli energy drinks o le barrette per sportivi.

Facile comprendere che quando durante la visita, insieme ai miei pazienti conto i grammi di zuccheri che assumono al giorno, anche il classico soggetto “no, dottoressa, io non zucchero nemmeno il caffè” arriva in un attimo a circa 15 cucchiaini di zucchero giornalieri (bastano 2 yogurt alla frutta, 1 mela, 1 banana, 4 biscotti da colazione e un cioccolatino a fine pasto). Quantità che possono solo aumentare in chi zucchera le bevande, beve bibite gasate o è perfettamente consapevole di eccedere con i dolci.

Il punto focale, che da anni il team con cui lavoro ribadisce, è che nessun cibo è nemico, zuccheri compresi. Un’alimentazione totalmente priva di zuccheri è controproducente, anche per la sua gestione nel lungo periodo. Al contrario, è più utile saper gestire le “coccole dolci e affini” secondo poche regole base, ad esempio inserendole in modo intelligente nel pasto, ovvero associandole a proteine, fibre e grassi “buoni”. Tale associazione permette di rallentare l’assorbimento dello zucchero, modulando il fenomeno della glicazione, una sorta di “caramellizazione” delle proteine che ne altera funzionalità ed efficienza. Qualche esempio? Frutta con frutta secca, una fetta di torta al cioccolato accompagnata da uno yogurt greco, uno spritz con pezzetti di verdure crude e tocchetti di grana…

Altro elemento utile nella gestione dei consumi di zucchero (e di eventuali “sgarri”) è conoscere le proprie caratteristiche metaboliche, infiammatorie e genetiche. Ciò consente di godersi una Sacher, un cannolo o due cucchiaiate colme di marmellata senza troppi allarmismi o paranoie. Anche per questo motivo misurare eventuali danni da zucchero in modo preciso è sicuramente meglio che supporre. Test come il GlycoTest o il PerMè consentono di identificare eventuali eccessi individuali di zuccheri e impostare una dieta personalizzata, con la giusta varietà alimentare (dolci compresi!).