Patata dolce: un superfood per chi è diabetico

21 Maggio 2019
Patata dolce: un superfood per chi è diabetico

Nonostante il nome, le patate dolci non sono tuberi come le patate comuni, ma radici tuberose che appartengono ad una famiglia vegetale differente.

Le classiche patate gialle, bianche o viola appartengono infatti alla famiglia delle Solanacee, come anche melanzane, pomodori e peperoni, mentre l’Ipomea batatas, o patata dolce o “batata”, è invece una Convolvulacea, come molte piante ornamentali dal fiore a campanula.

Le patate dolci sono conosciute anche come “patate americane”, in quanto originarie dell’America tropicale e importate successivamente in Europa da Cristoforo Colombo.

La sua coltivazione necessita di un clima tropicale o sub-tropicale, di un terreno fertile e sabbioso e di molta luce affinché, sotto terra, i suoi rizomi si arricchiscano di contenuti nutritivi, colori e sapori. I suoi maggiori coltivatori sono Spagna e Portogallo, ma, preferendo la produzione locale, è possibile trovare diverse zone produttive nella fertile Pianura Pontina, ai margini del Parco Nazionale del Circeo, in Puglia e nel Veneto, da cui la patata dolce viene esportata su tutto il territorio italiano.

Il cajapo, una sostanza presente nella buccia della patata dolce, sembra essere in grado di ridurre glicemia basale, emoglobina glicata e colesterolo totale in individui affetti da diabete mellito tipo 2.

I maggiori consumatori al mondo di patata dolce sono i giapponesi, in particolare gli abitanti di una regione, Kagawa, che sembrano essere liberi da alcune patologie come l’anemia, l’ipertensione e il diabete. In queste zone la patata americana viene consumata cruda, abitudine da non trasferire assolutamente alle patate comuni, che risulterebbero alquanto indigeste per via dell’amido “crudo”.

Questo fatto ha incuriosito alcuni ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Padova che, in collaborazione con l’Università di Vienna, hanno accertato gli effetti benefici della patata dolce e soprattutto del cajapo, una sostanza contenuta principalmente nella buccia, che dunque, è bene consumare insieme a tutta la polpa.

Il cajapo, una sostanza presente nella buccia della patata dolce, è stato testato su individui affetti da diabete mellito tipo 2, producendo una riduzione della glicemia basale, del colesterolo totale e dell’emoglobina glicata, con conseguente miglioramento dello stato di salute generale. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Diabetes Care, giornale ufficiale della American Diabetes Association.

Con un contenuto di fibre di 3,13 g per 100 g di prodotto, la patata dolce supera notevolmente la patata tradizionale, ma è soprattutto l’elevato contenuto di sostanze antiossidanti a renderla un superfood vero e proprio.

La vitamina A in essa contenuta rappresenta il triplo rispetto al fabbisogno giornaliero, la vitamina C copre un terzo della quantità giornaliera raccomandata e flavonoidi e antociani sono responsabili delle spiccate proprietà anti-radicali liberi di questo alimento.

L’assenza quasi totale di proteine e l’abbondanza di fibre e amidi fanno sì che la patata dolce sia inclusa nella macrocategoria dei carboidrati ed è dunque buona abitudine consumarla sempre in associazione ad una fonte proteica e a una porzione di vegetali all’interno di uno dei tre pasti quotidiani, rispettando la composizione del Piatto del Mangiar Sano, creato dagli esperti di nutrizione della Harvard T.H. Chan School of Public Health.

Onde evitare che il calore della cottura disperda l’apporto benefico dei nutrienti, mangiarle crude sarebbe la prima opzione, sempre con la buccia pulita e ben lavata.

Basterebbe tagliarle a julienne e condirle con olio evo, sale e limone, oppure grattugiarle con una grattugia a fori grossi o anche tagliarle a fettine sottili per aggiungerle a una insalata mista.

Se invece si preferiscono cotte le si possono usare per preparare purè, creme e vellutate dopo una cottura al vapore e con l’aggiunta di olio evo a crudo, che interviene nel facilitare l’assorbimento dei carotenoidi, solubili appunto nei grassi.

La cottura in forno o su piastra con rosmarino e spezie aromatiche garantirebbe un piatto molto sfizioso, un’alternativa alle classiche patate arrosto, seppur con qualche riduzione delle proprietà antiossidanti.

Provatele anche per una torta o per qualsiasi altra preparazione “dolce”: vi saranno di estremo aiuto per ridurre al minimo o addirittura per eliminare l’aggiunta di qualsiasi altro dolcificante.