Mammografia computerizzata e PSA: confusione e danni anziché certezze diagnostiche

10 Aprile 2007
Mammografia computerizzata e PSA: confusione e danni anziché certezze diagnostiche

“Devo fare un controllo per sapere se ho un cancro? Forse no, ed ecco perché” (in inglese: “Should I Be Tested for Cancer? Maybe Not and Here’s Why”) è il titolo di un libro decisamente poco convenzionale, scritto da H. Gilbert Welch, un medico con il talento della divulgazione ad alto livello.

Già in un precedente articolo comparso sul nostro sito, si è parlato di questo libro come di “una calorosa esortazione a non sottoporsi ad esami inutili, angosciosi e spesso dannosi”.

Trascuriamo in questo caso l’angosciosità, elemento cruciale ma, al fondo, soggettivo, e concentriamoci sugli altri due termini del trinomio: inutilità ed eventuale dannosità. Ebbene, due ricerche completamente indipendenti, che si riferiscono a due degli esami diagnostici più diffusi, l’uno riservato alle donne, l’altro agli uomini, sembrano confermare in pieno lo scetticismo del dottor Welch.

Il primo studio si occupa di una nuova tecnica diagnostica applicata alla mammografia: si chiama CAD, cioè Computer-Aided Detection, che significa “indagine (o diagnosi) svolta con l’ausilio del computer”. Questo sistema di diagnosi computerizzata fu approvato dalla FDA, Food and Drug Administration (l’agenzia governativa statunitense preposta alla valutazione e all’adozione di nuovi farmaci e nuove tecnologie), nel 1998: dopo soli tre anni il 10% dei centri attrezzati per la mammografia negli Stati Uniti la effettuavano con la CAD.

Tuttavia quello condotto dal Davis Health System dell’Università di California a Sacramento e dal Breast Cancer Surveillance Consortium, e pubblicato pochi giorni fa sul prestigioso New England Journal of Medicine, è il primo studio su larga scala mirante a verificare l’efficacia della CAD (JJ Fenton et al, NEJM 2007 Apr 5, 356(14):1399-1409). E i suoi risultati sono decisamente poco incoraggianti.

La ricerca è stata effettuata su una popolazione vastissima, di oltre 200.000 donne, e su un database complessivo di quasi mezzo milione di mammografie, alcune realizzate con l’ausilio della CAD, altre senza.

È risultato che questa tecnica avanzatissima non soltanto non si dimostra utile nella diagnosi tempestiva di tumori al seno, ma addirittura contribuisce a confondere le idee ai medici che la utilizzano, provocando una serie impressionante di falsi allarmi (ben 156 per ogni diagnosi corretta) e di inutili – e angosciose – biopsie (14 per ogni diagnosi corretta).

Il secondo studio riguarda il più comune esame per l’indagine del cancro alla prostata, il test PSA, e la sola consolazione che se ne può trarre, rispetto all’esempio precedente, è di carattere economico: si tratta infatti di una semplice analisi del sangue, assai meno costosa, senza dubbio, della sofisticata CAD, e tuttavia così diffusa e – si starebbe per dire – “popolare” che tutti gli uomini al di sopra dei 50 anni sono più o meno esplicitamente esortati a sottoporvisi.

Uno studio svedese, condotto dal Karolinska Institute di Stoccolma e pubblicato sull’ultimo numero del Journal of the National Cancer Institute, mette in dubbio l’efficacia di questo test diagnostico e afferma anzi apertamente che si tratta di “uno strumento poco accurato”, scarsamente in grado di distinguere tra i pazienti “destinati a sviluppare un cancro letale alla prostata” e quelli “con rischio basso o nullo di progressione del male” (K Fall et al, JNCI 2007, 99(7):526-532).

Questi risultati sono vivacemente contestati da parte americana, come era facile prevedere. Ma, affiancandosi a quelli, incontestabili, della ricerca sulla mammografia computerizzata, contribuiscono sicuramente a destare un sospetto: che le tecniche di analisi sempre più sofisticate non possano sostituire l’esperienza, l’occhio e la mano del medico.

Purtroppo, nello stesso tempo, il medico, indotto ad affidarsi alle macchine anziché al suo intuito, ha ormai smarrito in gran parte e va sempre più smarrendo quel che resta di uno cardini della sua professione: il talento diagnostico.

E così la diagnosi diventa con il passare del tempo un puro e semplice esercizio teorico. Oltre che, naturalmente, un ottimo affare.