Sono una madre iperprotettiva?

di Francesca Speciani - Counselor
20 Settembre 2012
Sono una madre iperprotettiva?

DOMANDA

Cara Francesca, ho una figlia di 17 anni e un figlio di 13. La prima va a scuola con i mezzi pubblici e si dimentica regolarmente di rinnovare l’abbonamento. Così, per smettere di pagare le sue multe, ho cominciato a occuparmi io del rinnovo mensile. Alcune amiche con cui ne ho parlato mi hanno detto che se mia figlia non si assume nemmeno questa responsabilità, decisamente alla sua portata per la sua età, è colpa mia, e che sono una madre iperprotettiva. Mi sono sentita un po’ insultata, però poi mi sono trovata a riflettere sul fatto che l’estate scorsa, quando mio figlio è stato ospite di un amico per una settimana, sono stata molto in ansia finché non è tornato, e in effetti, nonostante le sue rimostranze, gli ho telefonato tutti i giorni. Mi dica: sto sbagliando qualcosa? Mariateresa

RISPOSTA

Cara Mariateresa,

preoccuparci per i figli è parte integrante del nostro ruolo di genitori, e una certa quantità di ansia va messa in conto. La funzione fisiologica di quest’ansia è tenerci sempre un po’ all’erta. Peccato che non ce lo spieghino in anticipo.

Tuttavia, il conto può diventare eccessivo se la naturale apprensione va ad aggiungersi a un tratto ansioso già presente. In casi come questi è facile scivolare in quello che la psicologa Silvia Vegetti Finzi ha chiamato “amore adesivo“, il cui rischio maggiore è quello di sostituirsi ai figli nella ricerca di soluzioni alle difficoltà della vita, interferendo più o meno pesantemente nell’acquisizione della loro capacità di trovarne di proprie.

Questo eccesso di protezione e di amore (che poi proprio amore forse non è), sembra estremamente diffuso nella nostra epoca. Forse perché facciamo sempre più figli unici, e in un’età più avanzata rispetto al passato. O forse perché abbiamo letto decine di libri su come essere “genitori quasi perfetti”, ma più per placare la nostra ansia che per sostenere i nostri figli in una crescita equilibrata. Basta guardarci in giro per notare come gli adulti di oggi si sforzino in ogni modo di evitare ogni tipo di sofferenza, compresi i naturali disagi della crescita, ai loro ragazzi. Ma è una strategia di successo?  “È possibile che proteggere i propri figli dall’infelicità quando sono bambini li privi poi della felicità da adulti?” si domanda la scrittrice e psicoterapeuta americana Lori Gottlieb in un bell’articolo apparso su The Atlantic Magazine.

L’autrice riporta tra le altre la risposta di Dan Kindlon, psicologo dell’infanzia e docente a Harvard: “Se i bambini non possono vivere i sentimenti dolorosi, finiscono per non sviluppare ‘l’mmunità psicologica’. Il meccanismo è identico a quello del sistema immunitario del corpo. L’esposizione agli agenti patogeni è necessaria, altrimenti l’organismo non impara a reagire agli attacchi. I bambini hanno bisogno di essere esposti, tra le altre cose, anche al disagio, al fallimento e alle difficoltà.”

Non si tratta, ovviamente, di creare artificialmente o volontariamente questo disagio, né di lasciarli soli nei momenti di difficoltà. Semplicemente – credo – significa permettere che i nostri figli corrano i piccoli e grandi rischi della vita di tutti i giorni, fidarci che sbaglieranno e che impareranno dai loro errori. Semmai aiutarli a dare un senso a ciò che da essi stanno imparando, e magari condividendo con delicatezza le disavventure che anche noi abbiamo passato alla loro età, e gli insegnamenti che ne abbiamo tratto. Fornire loro, quindi, gli strumenti per sviluppare una buona resilienza, ovvero la capacità di far fronte agli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. Una capacità che, secondo gli esperti, si sviluppa quando si è immersi in un clima di fiducia e di incoraggiamento.

Ma come dominare la nostra ansia mentre cerchiamo di offrire ai figli questi strumenti, invece di proteggerli a ogni costo?

  • In primo luogo può essere utile identificare che le paure sono nostre, non loro. Per esempio la paura che a suo figlio possa succedere qualcosa mentre è ospite di un amico.
  • Poi chiederci di cosa abbiamo bisogno per ridurre la nostra paura o il nostro disagio. Per esempio, che sua figlia rinnovi da sola la tessera dei mezzi pubblici.
  • Infine, possiamo muoverci in quella direzione, ponendo dei limiti che siano rassicuranti per noi. Per esempio, possiamo dare a un figlio il permesso di fare una settimana di vacanza con un amico, a patto che ci mandi un sms ogni giorno (o a giorni alterni), oppure stabilire che le multe pagate verranno sottratte dalla paghetta settimanale.

In alcuni casi, soprattutto se stiamo cercando di ridurre le interferenze precedenti, può essere conveniente specificare che siamo noi ad aver bisogno della rassicurazione di un sms per riuscire a gestire le nostre paure. O di stabilire regole e limiti adeguati e modificabili nel tempo, perché siamo stanchi di sentirci usati e dati per scontati. E che questo è il prezzo da pagare per poter godere di tutta la libertà possibile all’interno di quei limiti.

Molti adolescenti sono in grado non solo di comprendere, ma addirittura di apprezzare, questo genere di chiarezza. Tanto da ricambiare con l’espressione più diretta dei loro sentimenti (talvolta attraverso richieste d’aiuto, ma anche – prepariamoci – con manifestazioni della loro aggressività).