Terremoti fisici e terremoti emotivi

di Francesca Speciani - Counselor
24 Maggio 2012
Terremoti fisici e terremoti emotivi

DOMANDA

Sto seguendo con forte apprensione le notizie relative al terremoto in Emilia, anche perché in quella zona abbiamo molti conoscenti. Per fortuna stanno tutti bene, ma mio figlio, che già era rimasto scosso dall’esplosione della bomba di Brindisi, è molto agitato. Non so esattamente come affrontare con lui temi così difficili, e questo mi ha portato anche a chiedermi se esiste qualche forma di sostegno psicologico per chi resta coinvolto in eventi drammatici come questi.

RISPOSTA

Come è possibile che, a fronte di uno stesso evento catastrofico che coinvolge numerose vittime, alcuni individui sviluppino in seguito un disturbo da stress post traumatico (PTSD) mentre altre, dopo un normale periodo di lutto, risultino quasi rafforzati dalla tragedia?

Si tratta, sul piano emotivo, dello stesso meccanismo per cui, a contatto con un virus, alcune persone si ammalano e altre no.

E se in questo caso molto dipende dallo stato del sistema immunitario, nel caso della gestione emotiva di un trauma è coinvolta una funzione psichica particolare, che gli esperti hanno denominato “resilienza” (della quale mi occuperò più avanti).

Proprio perché la risposta al trauma è fortemente individuale, il primo intervento di tipo psicologico su una comunità che è rimasta vittima di una calamità o di un attentato prevede un protocollo preciso volto a individuare – tra l’altro – le persone più a rischio e a ristabilire quel senso di appartenenza necessario per rimettere in moto le risorse esistenti.

Va da sé che, in casi del genere, questo intervento non può che essere messo in atto da organismi istituzionali che, in questo difficile compito vengono coadiuvati al momento da numerose organizzazioni di volontariato. In Emilia, per esempio, come già in Abruzzo, si è immediatamente attivata Save the Children. E a Brindisi, il rientro dei ragazzi e degli insegnanti nelle scuole coinvolte è stato accompagnato dagli psicologi del servizio di neuropsichiatria territoriale.

È ovvio che il sostegno psicologico debba riguardare non solo i più giovani ma l’intera comunità colpita, e perfino i soccorritori, cosa che avviene sempre di più (e si spera ancora di più in futuro) grazie anche alla specifica formazione in psicologia dell’emergenza di numerosi operatori che attualmente affiancano il sistema dei soccorsi e la Protezione Civile.

Chiunque si senta colpito profondamente, anche a distanza, da eventi traumatici come quelli descritti, può aver bisogno di aiuto per dare sollievo all’inevitabile senso di smarrimento. Vale la pena quindi di utilizzare alcune delle strategie segnalate dagli esperti, con un’attenzione particolare ai bambini e agli adolescenti.

In primo luogo, pur tenendo presente che il ritorno alla normalità (sul piano emotivo come su quello pratico), dopo l’esposizione diretta a un trauma, può richiedere tempo, occorre notare l’eventuale manifestarsi di sintomi (come lo stato di agitazione presentato da suo figlio), che potrebbero successivamente evolvere in disturbi più gravi.

In presenza di segnali importanti (insonnia, difficoltà lavorative o nel rapporto di coppia, incubi, ricorso esagerato a fumo, alcol, droghe o farmaci) o anche più lievi (tensioni croniche, confusione, spossatezza, apatia), ma che durano nel tempo, è senz’altro opportuno chiedere aiuto a un professionista.

Spesso i bambini hanno difficoltà a esprimere in modo diretto le loro emozioni. Attenzione quindi, dopo un evento traumatico, alle manifestazioni di irrequietezza, alla paura dell’abbandono, agli scoppi di rabbia, ai disturbi del sonno, ai tic, al digrignamento dei denti, agli attacchi frequenti di mal di stomaco… che potrebbero configurare altrettante richieste di aiuto.

Un genitore può chiedere con delicatezza a un figlio se è spaventato, arrabbiato, smarrito. Oppure, se si tratta di un bambino piccolo, può aiutarlo a esprimersi nel gioco o con un disegno. Può sollecitare con cautela un collegamento con l’evento e può rassicurare suo figlio che sta facendo il possibile per proteggerlo.

Ma se i sintomi persistono, anche per un bambino può essere utile il ricorso a uno psicoterapeuta. In genere, in questi casi, per ristabilire l’equilibrio è sufficiente un intervento di breve o media durata. Soprattutto se l’intervento è tempestivo.

Vediamo ora le strategie a disposizione di ogni genitore attento, per affrontare insieme ai figli episodi come quelli di questi giorni.

  • Non lasciar trascorrere troppo tempo: bambini e ragazzi sentono quando succede qualcosa di grave, e lasciarli soli con i loro pensieri può alimentare la sensazione di incertezza. 
  • Offrire un ascolto attento: non solo delle emozioni ma anche della percezione dell’evento e di tutti gli interrogativi che emergono. (Probabilmente nuovi interrogativi sorgeranno un po’ alla volta, quindi occorre restare aperti a più riprese.) 
  • Rispondere alle domande nel modo più sincero possibile (che ovviamente va valutato caso per caso, anche in base all’età e alla maturità dei ragazzi). Non vuol dire indugiare in dettagli scabrosi, ma essere chiari e comprensibili su ciò che è successo e su ciò che succederà. Anche quando non ci sono risposte. 
  • Accettare e rispettare le emozioni dei figli. Condividendo con loro le nostre, con delicatezza. 
  • Offrire calore e vicinanza fisica, che danno più conforto e senso di protezione rispetto all’eccesso di spiegazioni. 
  • Prestare attenzione a come noi gestiamo la paura e lo smarrimento: è da noi che i figli imparano come gestire lo stress. 
  • Cercare il più possibile di mantenere la routine quotidiana, per esempio farli tornare a scuola (anche mettendo in conto una scarsa concentrazione) e alle normali attività sportive e sociali. In un mondo vissuto come minaccioso, la routine e l’affetto dei genitori e degli amici sono ciò che di più rassicurante abbiamo da offrire. 
  • Incoraggiare i ragazzi a diventare attivi nell’aiuto di chi è stato colpito dalla tragedia. A seconda dell’età, possono entrare in associazioni di volontari, pubblicizzare la loro attività o contribuire economicamente. L’aiuto attivo fa crescere il senso di sicurezza e di controllo sugli eventi.

Affrontare con i figli le tragedie che possono presentarsi nel corso della vita, tuttavia, non è solo un problema pratico, ma una grandissima opportunità per costruire anche in loro la “resilienza”, cioè la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzarsi in modo efficiente nelle situazioni di crisi e di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità.

Una funzione che, fortunatamente, è possibile apprendere, ma che sembra essere particolarmente sostenuta da fattori quali la presenza in famiglia di relazioni premurose e solidali, l’integrazione delle esperienze a livello affettivo e cognitivo, e l’immagine positiva di sé.

Eventi tragici come quelli dei giorni scorsi possono scolpirsi nel mondo interiore di un ragazzo rendendolo improvvisamente consapevole della sua vulnerabilità.

Per alcuni tra i più giovani, è la fine dell’innocenza, il momento in cui cominciamo a chiederci se il mondo in cui viviamo è veramente sicuro.

Nel mio ricordo, coincide con due eventi: l’assassinio di Robert Kennedy e la strage di piazza Fontana. E per quanto si tratti di momenti spaventosi, che ci portano inevitabilmente in contatto con una sensazione di impotenza e di precarietà, con il sostegno adeguato possono diventare anche opportunità preziose per sviluppare quegli anticorpi così necessari a renderci capaci di continuare a crescere, e di combattere per un mondo più sicuro e degno di essere vissuto.