La dieta Mediterranea

13 Aprile 2012
La dieta Mediterranea

Negli ultimi 25 anni il crescente numero degli obesi nell’America del Nord ha fatto ricercare nel mondo aree “felici” dove le malattie “dell’abbondanza” colpiscono con meno intensità.

Tra queste, hanno colpito la fantasia il Sud Est asiatico, dove il consumo di pesce e di soia è molto elevato, e l’area mediterranea, per il suo elevato consumo di frutta e verdura fresche e di oli di oliva.

Fin qui, tutto corretto. In Italia, però, si è cavalcata l’onda della dieta “mediterranea” identificandola (invece che con la frutta, la verdura, l’aglio e gli oli crudi) con la pasta e il pane (spesso raffinati, in contrasto con la tradizione), il cui esagerato consumo è pericoloso tanto quanto il consumo di grassi saturi, di carni e di cibi conservati.

Il vero problema delle cento diete “mediterranee” di cui si sente parlare in giro (dieta “Italiana”, dieta “del mediterraneo” ecc.) è che nessuna è in accordo con l’altra, ovvero quando si parla di dieta mediterranea in generale, un vero metodo definito con precisione non esiste.

 

La dieta mediterranea, in una qualsiasi delle sue cento varianti, predilige a grandi linee il consumo di buone quantità di frutta e verdura fresca. Favorisce inoltre il consumo di olio di oliva extravergine (le cui qualità antinfiammatorie e di protezione cardiovascolare sono ben note).

In generale viene suggerito un uso limitato di burro e di grassi in genere, così come delle carni, la cui presenza deve essere occasionale, a favore del pesce.

Queste indicazioni generali, seppur limitate, sono senza dubbio corrette. Tuttavia nulla viene detto sul possibile effetto di carico glicemico legato ai farinacei (pane, pasta, dolci), così che sorge il dubbio su come questa dieta possa essere considerata tale.

Come sopra accennato, la più o meno completa libertà nell’assunzione di carboidrati come pane e pasta, senza alcuna indicazione relativamente all’uso di farine integrali (invece dominanti nella abitudine alimentare del passato), comporta un carico glicemico per singolo pasto che spesso è veramente eccessivo.

Tale alimentazione apre le porte all’azione dell’insulina con i noti effetti collaterali di ingrassamento indesiderato e di fame compulsiva da ipoglicemia reattiva.

D’altra parte, se i ricercatori USA hanno voluto lanciare questa moda pensando a qualche villaggio sperduto di pescatori greci, ben diverso sarebbe stato il loro colpo d’occhio a un raduno di cinquantenni di una qualsiasi città del Sud dell’Italia.

A dimostrazione del fatto che la “variante italiana” della dieta mediterranea, tra le cento, non è certo quella da seguire.